lunedì 9 settembre 2019

Ecco perché oggi non possiamo dirci liberi

di Silvana De Mari, in “La verità” del 9/9/2019

Nota mia, di Luca Zacchi: visto che Facebook spesso la blocca senza motivo altro che l'odio di chi la odia per il suo coraggio, ripubblico anche qui il pensiero di Silvana De Mari. Che condivido del tutto.



Non esiste la libertà senza la verità. E ormai dire la verità è diventato rivoluzionario: il politicamente corretto ci ha resi schiavi. Chi lo infrange non finisce più in cella come nei regimi di una volta, ma viene posto ai margini della società, umiliato e isolato.
La libertà non consiste nel fare quello che si vuole - questa è la prerogativa dell'infantilismo capriccioso - ma nel prendere su di sé il peso di quello che si sta facendo. La libertà, cioè, è fatta di doveri e di un diritto terribile: assumersi la responsabilità e pagarne il costo. La libertà di parola, in primis, necessita dell'incredibile, ma anche irrinunciabile, coraggio di dire quello che si sta pensando, quello che si giudica vero, anche se ci porterà a essere perseguitati, odiati. Magari saremo odiati perfino da chi amavamo, da chi amiamo moltissimo. Ma è proprio per questo che non dobbiamo mollare, perché dove non c'è libertà, non c'è verità e neanche amore. Possono esserci pessima panna montata, infimo zucchero filato, fiocchetti rosa e cuoricini, scemate, love is love. Questa è paccottiglia.
La libertà non può essere disgiunta dalla verità e la verità non può essere disgiunta dal coraggio. Per la libertà occorre combattere ogni istante, basta una distrazione perché si spampani, si perda. E, per riconquistarla, ci vorranno lacrime e sangue. Abbiamo ceduto la nostra libertà alla buona educazione, alla delirante idea che non bisogna mai dire nulla che, anche se è vero, potrebbe offendere qualcuno. L'offesa è un dolore per gli isterici mentre per le persone normali non è divertente ma è, tutto sommato, irrilevante. L'offesa è intollerabile per le dittature e per i pensieri dittatoriali, che non reggerebbero a una frattura nel granito fasullo della loro propaganda. Noi, mondo occidentale, abbiamo ottenuto la libertà - ce l'avevano conquistata i nostri antenati - ma vi abbiamo rinunciato in nome del politicamente corretto.
Un bavaglio impressionante, paragonabile alle dittature di media qualità. Violare il politicamente corretto non porta in cella con le gambe fracassate, come succedeva e succede nelle dittature di alta qualità, ma ti fa perdere il lavoro, ti impoverisce, ti isola socialmente. Come diceva George Orwell, l'autore di «1984», la più micidiale distopia del secolo ventesimo, nell'ora dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario, assumersi la responsabilità di dire la verità, è, cioè, un atto - l'unico - con la potenza e la potenzialità di destabilizzare la dittatura della menzogna.
Il politicamente corretto è menzogna. A furia di essere cortesi tutte le religioni si equivalgono, abbiamo tribunali islamici in Regno Unito che applicano il diritto di famiglia secondo la sharia, il terrorismo islamico nelle strade, ma è importante dire che sono tutti pazzerelli isolati, uomini travestiti da prostitute leggono fiabe ai bimbi negli asili. Un sistema micidiale per destabilizzare il giudizio: non fidarti del tuo giudizio, tu lo trovi ripugnante e vorresti fuggire, impara a fidarti del sistema. Se il sistema te l'ha messo davanti, è buono.
L'atto rivoluzionario di dire la verità è stato annientato da quella falsa rivoluzione che è stato il 1968. Il politicamente corretto, tutto sommato, è nato lì, in mezzo a quelle finte barricate, ai falsi combattenti da farsa che, però, hanno lasciato a terra morti veri, che non sono rimasti defunti anche quando i loro assassini dichiarati ex qualche cosa, sono stati nominati giornalisti o docenti. Il politicamente corretto è nato in mezzo a degli autentici cialtroni che hanno bloccato l'università e ottenuto il 18 politico perché non erano abbastanza intelligenti per superare correttamente gli esami. Nel 1968 è nato l'indistinto come valore: tutti con i jeans così siamo uguali, perché gli uomini sono tutti uguali, le religioni tutte uguali, i popoli tutti uguali, tutto intercambiabile. Dare giudizi, avere opinioni, anche un sesso ben definito, potrebbe offendere qualcuno e quindi deve essere vietato, a meno che tu non sia islamico o gay. Allora, puoi scrivere che le donne sono esseri inferiori o che l'eterosessualità è da esseri inferiori. Se sei gay, puoi scrivere che è un'esperienza eccitante farsi spogliare da un bambino come fece Daniel Cohn-Bendit e che possiamo desiderare eroticamente i bambini come scrisse Mario Mieli.
Il politicamente corretto è la dittatura delle minoranze. L'essere indifferenziati ora è obbligo. Ci è stata tolta anche la libertà di andare all'inferno. La bontà di cuore per mantenere migranti, al 90% maschi islamici in età militare, dovrebbe essere un moto spontaneo dell'anima. La generosità e l'accoglienza sono valori religiosi. Non possono essere civili. E se sono imposti dall'alto da uno Stato dannatamente buono, questo sta diventando una teocrazia.
Sono disposta a combattere, morire per il mio diritto di essere cattiva. Mi pare una libertà fondamentale, soprattutto ora con il rischio del governo degli accoglienti. A me sembra che quelli tanto buoni abbiano un odio profondo per i più deboli, i più poveri, i più indifesi, i cittadini delle periferie che hanno come unica possibilità la panchina dei giardinetti ma oggi la trovano occupata da spacciatori nigeriani con eroina o, se fortunati, senegalesi con cannabis. La libertà di andare in giro nelle nostre strade tranquille, magari anche di notte, noi femminucce ce la siamo giocata. In compenso, abbiamo le quote rosa: gli elettori non hanno più la libertà di votare un maschio, una donna con meno voti passa davanti a un uomo con più voti. La volontà popolare è calpestata. La libertà, inclusa quella di andare all'inferno, mi arriva da Dio, e nessuno Stato me la può togliere.
Dal punto di vista umano, invece, è stata conquistata. In parecchi sono finiti davanti a plotoni di esecuzione, impiccati, sul rogo. Queste libertà conquistate con lacrime e sangue vale la pena di difenderle con lacrime e sangue. Libertà, verità e giustizia sono i tre valori che si reggono l'uno sull'altro. Persa una, perse tutte.
La libertà dell'uno finisce dove comincia quella dell'altro. Se gonfiamo la nostra libertà, così da danneggiare l'altro, non facciamoci illusioni: il conto ci verrà presentato. Gli uomini devono rinunciare alla loro libertà di andarsene da una donna che porta un loro figlio nel ventre, di non mantenerlo col proprio lavoro, anche da schiavo: quel lavoro da schiavo sarà la loro libertà. Noi donne dobbiamo combattere per la libertà dei figli che abbiamo concepito, anche se quel figlio è stato concepito contro la nostra volontà. Perché la nostra libertà non può cozzare contro la libertà di un altro di restare vivo. Se a una donna è riconosciuto il diritto di far morire il bimbo che porta nel ventre, allora deve essere altrettanto sacro il diritto di un uomo di far morire di fame il suo bimbo semplicemente perché non desidera mantenerlo e non vuole rinunciare alla libertà di vivere la sua vita. La libertà, invece, è responsabilità, sacrificio, ferite, lacrime e sangue.

Nessun commento:

Posta un commento

Cristificazione

 Occorre "cristificarsi", diceva Giacomo Alberione. Cosa significa "cristificarsi"?  Non certo, io credo, semplicemente ...