giovedì 27 agosto 2020

Noi come Potifar #OraEtLabora #Maranathà

Il Signore era con Giuseppe: a lui riusciva bene ogni cosa e stava in casa del suo padrone egiziano. 3 Il suo padrone vide che il Signore era con lui e che il Signore gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che intraprendeva. 4 Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e si occupava del servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa e gli affidò l’amministrazione di tutto quello che possedeva. 5 Dal momento che lo ebbe fatto maggiordomo della sua casa e gli ebbe affidato tutto quello che possedeva, il Signore benedisse la casa dell’Egiziano per amore di Giuseppe; la benedizione del Signore si posò su tutto ciò che egli possedeva, in casa e in campagna. 6 Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; non si occupava più di nulla, tranne del cibo che mangiava. Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto.

7 Dopo queste cose, la moglie del padrone di Giuseppe gli mise gli occhi addosso e gli disse: «Unisciti a me!» 8 Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha. 9 In questa casa egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?» 

10 Benché lei gliene parlasse ogni giorno, Giuseppe non acconsentì a unirsi né a stare con lei. 11 Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; lì non c’era nessuno della gente di casa; 12 allora lei lo afferrò per la veste e gli disse: «Unisciti a me!» Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì. 


Giuseppe era unito a Dio. Seguiva scrupolosamente i comandi di Dio, obbediva al Suo Dio accogliendo gli avvenimenti della sua storia personale di uomo. Compreso il finire in schiavitù nelle mani di Potifar, ufficiale del faraone, capitano delle guardie. 

Facendo nel migliore dei modi possibili il suo lavoro di schiavo, obbediva alla generosità del suo padrone, ma ancora di più, e prima, alla benedizione di Dio nei suoi riguardi.

Ma il mondo ed il suo principe odiano con tutto loro stessi l'obbedienza alla fede, l'obbedienza a dei valori che i veri credenti considerano venire prima di qualsiasi sedicente valore di questo mondo. E cercano di tirare dalla loro parte i credenti.

La parte della serva del principe di questo mondo in questo racconto biblico la fa la moglie di Potifar, che, forse perché annoiata dall'opulenza in cui viveva, o rattristata dalle continue assenze del marito, oppure semplicemente per concupiscenza, rivolge a Giuseppe, per ben due volte,  queste parole: Unisciti a me!

La prima volta Giuseppe rifiuta e spiega alla donna la motivazione del suo rifiuto; non vuole disobbedire a suo marito Potifar, che gli dona la sua stima, ma soprattutto non vuole fare questo gran male e peccare contro Dio.

Cedere alla concupiscenza sarebbe, in primo luogo, peccare contro se stesso e contro la stessa donna, poi peccare contro Potifar, marito della donna, ma in primo luogo peccare contro Dio che ha detto: Non commettere adulterio, proibendo con questo comandamento qualsiasi uso improprio della sessualità con se stessi (sfruttando immagini o fantasie riferite ad altri) o con altri direttamente diversi dal proprio coniuge.

Il testo biblico dice che la donna gliene parlava tutti i giorni, ma Giuseppe non cedeva, finché di nuovo la donna insistette e di nuovo lo invitò: «Unisciti a me!» Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì.

Leggendo questo brano oggi mi è tornato in mente come dice Gesù che si deve svolgere la correzione del fratello peccatore o che ti invita al peccato. Prima si deve parlare con lui solo. Poi, se possibile (in questo caso evidentemente non lo era), si parli di questo con due o tre fratelli o con la comunità, altrimenti il fratello o la sorella che ti invitano a peccare con loro, siano per te come pagani e pubblicani. Ovvero allontanati da loro e allontanali da te. In questo caso Giuseppe fa lo sola cosa che gli era possibile, lascia la sua veste nella mano della donna e fugge via. 

Sappiamo poi come va avanti la storia, la donna dal peccato di concupiscenza passa al peccato di falsa testimonianza (i peccati sono come le ciliegie, ciliege demoniache in questo caso, uno tira l'altro), Potifar invece di dar credito alla vita di obbedienza e pieno servizio di Giuseppe, preferisce credere alla moglie e lo fa gettare in prigione. Creava certo meno problemi sbattere l'ennesimo schiavo in prigione che far processare la moglie o ripudiarla... 


Il mondo di oggi, pensavo, è pieno di spose di Potifar, pieno di menzogne e di bugie, pieno di gente che ti invita: unisciti a me, unisciti al mondo, credi nel mondo, credi che il peccato non esista (tutte quelle belle storie che ti rifilano anche al catechismo sui sistemi di peccato, o sulle strutture di peccato, per farti credere che tu sei buono e che la colpa non è mai tua!; ma della "società", dei genitori, della famiglia, della politica, delle strutture...).

IL PECCATO E' PRIMA DI TUTTO PERSONALE, E' MIO, TUO, SUO... 

Il guaio è che spesso noi reagiamo come fa Potifar. Invece di ammettere le nostre mancanze, il nostro peccato, preferiamo scegliere la via più comoda. Facciamo finta di nulla, o peggio ancora ci adeguiamo, cerchiamo un compromesso con quanto ci viene proposto dal mondo. Ci lasciamo convincere che noi siamo buoni... "sono gli altri che ci disegnano così", gonfi di male e di bugie. 

Mentre dovremmo fare come fa Giuseppe, prendere il coraggio a due mani e lasciare lì, sul posto, le vecchie vesti, per indossare le vesti battesimali, le vesti nuove, le vesti bianche della vita, la tunica inconsunta del Cristo. 

Essere cristiani tutti di un pezzo, e non cristiani "patchwork", buoni per tutte le stagioni.

Amen. 

Nessun commento:

Posta un commento

Cristificazione

 Occorre "cristificarsi", diceva Giacomo Alberione. Cosa significa "cristificarsi"?  Non certo, io credo, semplicemente ...